Jonathan Giustini
"Come salmoni guerrieri"
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Che i tuoi materiali in disordine possano contagiare e diventare un virus.
E scivolare cosi dentro le deep waters. Le acque fredde e profonde della memoria.
Pare una preghiera. Prayers on fire. Forse è proprio una preghiera. Un augurio che possa realmente accadere. Ci vediamo in cielo di nuovo se indossi ancora quel vestito.
Riordinare la memoria. Un desiderio oracolare.
Con questa mostra e lunga rappresentazione.
Come è accaduto già. A me. A te. Magari. Te lo auguro. Che possa ancora accadere. Sempre.
A loro è accaduto. Che questi materiali ora hanno deciso in parte di sistemare. Di svelare. In una grande mostra e rappresentazione di vita artistica.
Ti servirà questo esempio per orientarti nel cammino del tuo passo. A te che visiti questa esposizione. Che potresti conoscere questi artisti. E le loro opere. Dunque il loro pensiero.
Avvicinati.
Pensati come un fiume che scende valle. Che rompe gli argini e la sua diga.
Mi lascio scorrere, andare, sospingere e cerco di mescolarmi nel flusso della strada, della memoria. In questa grande università della strada. Che la puoi improvvisamente vedere da un angolo in disuso, da una falsa prospettiva di finestra. Ti volti, ti nascondi, ti celi dietro una tenda o un velo ed ecco che arriva questo sguardo. Questa possibilità, forse.
Una curva, un’ansa d’acqua. Una pendenza e poi una risalita. Un vortice. Un mulinello.
Questi sono i fiumi. Che ti avvolgono lungo il cammino.
Sali il gradino di una lunga scala. Portoni diversi ti sfiorano le mani.
Prendi fiato guardando sottoporte basse. Tralci di luce. Spifferi di sole.
Voglio partecipare ai loro corsi, alle loro dizioni di arcaica lingua, ad una lesson n 1, n 2 , n 3. Ma dove si tengono? Vedo solo negozi, tabacchi, ristoranti, bazaar cinesi, frutta e verdura. Campi brulli e grandi supermaket. Officine e outlet temporanei.
Dove posso trovarli?
Con la smania oltraggiosa dei sogni giro per le strade. E improvvisamente mi pare come di risalire la corrente dei salmoni guerrieri. Che sono questi artisti per me. Salmoni guerrieri, perché non temono le regole. Non temono le convenzioni. Non temono la vita. Conoscono il loro destino.
E’ una corrente calda, che assaporo, che ho atteso e che ora avverto. Mi avvolge e mi conduce.
Vedo le ombre dei salmoni guerrieri. Le loro litanie.
Ora li seguo. Li osservo. Ogni tanto devo accelerare il passo. A momenti anche rallentare. Fermarmi. Prendere respiro.
Fanno il verso al labirinto ed hanno lingua senza confine, che rompe cuore e pietra. Conservano solo ciò che amano. Amano solo ciò che capiscono. Capiscono solo ciò che vedono.
Salmoni guerrieri che risalgono la corrente della vita. Vista dalla prospettiva tutta loro.
Sono tatuatori di stelle sulla pelle. Sono capi indiani seduti accanto al fuoco. Sono ostinati mangiatori di pannocchie. Sono cardi, ceci, fagioli. Pane secco ma ancora fragrante. Vino rosso di Sardegna. Sono di Napoli e di nessundove. Vissuti tra il Brasile, le Americhe e le periferie. Sono ora di Roma.
Affrescano pareti e apparecchiano lunghe tavolate. Adornano finestre e spaccano la pietra. Martellano invece di parlare. Muggiscono silenti e rabbiosi sulla carta, tra le lastre. Le lunghe dita inanellate nel cielo.
Il mondo è un collage e noi le carte assorbenti. Dicevano un tempo nei loro opuscoli dell’università della strada.
Non hanno perso quell’attitudine grafica, amanuense, da pollo e pannocchie.
Si arrampicano sulle scale come scimmiotti. E’ il loro modo di fare arte.
Poi zompano a terra. E si accarezzano le pance. E rimbalzano. Sono timidi come nel canto di Jacques Brel
Ça se tortille
Ça s'entortille
Ça sautille
Ça se met en vrille
Ça se recroqueville
Ça rêve d'être un lapin
Peu importe
D'où ils sortent
Più sono zoomorfi e più salgono in alto. Per rivedersi poi anamorfici.
A dirci che l’arte sa di banane, di riso mantecato e di torta di mele. A farci vedere i loro studi come grandi cucine. Vuccirie. Sorridono mentre cucinano. Penetrano con gli sguardi nelle nervature della pelle. E sbuffano di colore. E di spuma.
Sono salmoni guerrieri. Che non fanno il salto. Sono strani. Arrivati in un certo luogo, tornano indietro. E ricominciano da capo.
Jonathan Giustini